Il sistema immunitario della bovina protegge l’organismo e agisce principalmente tramite l’attivazione del sistema immunitario innato. Esso fornisce una risposta immediata, ma non specifica, attraverso dei mediatori chimici (eicosanoidi e citochine), responsabili dell’infiammazione, e delle cellule (neutrofili, basofili, macrofagi e linfociti natural killer), responsabili di una prima linea di difesa. Ma, per funzionare bene, le difese immunitarie innate hanno bisogno di glucosio (energia), amminoacidi, ossigeno, minerali e acidi grassi, mentre sono inibite da chetoni, acidi grassi non esterificati (NEFA) e radicali liberi.
Durante la fase di transizione, le bovine sono sottoposte a molteplici stress che debilitano l’animale sotto il profilo immunologico. Questo perché si innescano processi fisiologici che favoriscono la produzione di sostanze che inibiscono la capacità d’azione del sistema immunitario. In particolare, si verifica:
- un cambio dell’assetto ormonale tipico della gravidanza in prossimità del parto. Il livello di progesterone, l’ormone che permette l’instaurarsi e il mantenimento della gravidanza, scende, mentre aumentano gli estrogeni; il feto inizia a produrre l’ormone dello stress, il cortisolo, che viene riversato nel torrente cardio circolatorio della bovina.
- un calo della capacità d’ingestione, dovuta sia all’ingombro fetale che all’aumento degli estrogeni, che contrasta con l’incremento dei fabbisogni. Infatti, oltre ai fabbisogni di mantenimento e crescita, la bovina deve far fronte alla necessità di completare lo sviluppo fetale, ricostruire il parenchima mammario, stoccare glicogeno a livello epatico, fornire ai leucociti un’adeguata scorta di antiossidanti e produrre colostro. In particolare, la produzione di colostro determina il passaggio di immunoglobuline alla mammella, sottraendole dal sangue della bovina. Se la bovina non è in grado di far fronte a queste richieste tramite l’alimentazione, movimenta le riserve corporee iniziando ad assumere un profilo energetico negativo. Il protrarsi di questa situazione induce la comparsa di chetosi sub-clinica, caratterizzata da un aumento dei NEFA e dei chetoni circolanti. È noto come questa malattia rappresenti un elevato fattore di rischio per la ritenzione placentare, la dislocazione dell’abomaso, metrite, mastite ecc.
I fattori stressanti sopra citati e, seppur indirettamente, la produzione di chetoni e NEFA, sono responsabili dell’aumento della produzione di radicali liberi (ROS), i quali esercitano un’azione dannosa sulle cellule e sui tessuti dell’organismo. Il loro aumento determina una patologia conosciuta con il nome di “stress ossidativo”. Lo squilibrio tra le specie reattive all’ossigeno, i radicali liberi appunto, e la ridotta capacità del sistema di difesa antiossidante, provoca l’infiammazione dei tessuti e diminuisce la risposta del sistema immunitario, oltre ad alterare l’assorbimento dei nutrienti, la funzionalità epatica e distruggere le membrane cellulari (liperossidazione dei grassi di membrana) e gli acidi nucleici (DNA e RNA).
Nella bovina da latte però, alle cause fisiologiche che creano stress ossidativo, possono sommarsi anche alcune cause gestionali che aggravano la situazione:
- infiammazione e infezione da agenti batterici o virali presenti nell’ambiente, soprattutto a carico della mammella, o a carico dell’apparato riproduttivo
- errata gestione del BCS delle bovine che si trovano nella fase iniziale della lattazione sovrappeso o sottopeso
- condizioni ambientali non ottimali (temperature troppo elevate o troppo basse, sovraffollamento, continuo cambio di gruppi o gruppi disomogenei)
- stress alimentari (micotossine, carenze vitaminiche e/o di oligoelementi)
La sommatoria di stress ossidativo e aumento dei NEFA e chetoni, derivati sia da condizioni fisiologiche che purtroppo manageriali, può costringere l’animale a vivere la fase di transizione in uno stato di continua infiammazione e immunodepressione (grafico 1), aggravato anche dal bilancio energetico negativo che si protrae sia prima che dopo il parto.
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